Le ricerche e i ritrovamenti paleontologici in Val d'Ambria
La prima traccia fossile fu trovata da Claudia Steffensen, un'escursionista che, un paio di anni fa, seguendo un sentiero in Val d’Ambria notò alcuni strani motivi su una lastra di roccia. Aveva fatto la sua scoperta a circa 1700 metri di quota e l’aveva raccontata poi a Elio Della Ferrera, un suo amico fotografo naturalista che aveva raggiunto la lastra per fare qualche scatto. Incuriosito contattò Cristiano Dal Sasso, paleontologo del Museo di Storia Naturale di Milano. Da qui partirono le prime ricerche con la collaborazione dell’Università di Pavia, del Museum Fur Naturkunde di Berlino. Il tutto coordinato dal parco in costante rapporto con la soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio e del comune di Piateda.
Risultati preliminari:
- Almeno 8 icnogeneri e 10 icnospecie (non potendo risalire con certezza alla specie che ha lasciato l’impronta, i paleontologi classificano le varie impronte come icnospecie)
- Primo ritrovamento di tane di vertebrati
- Ritrovamenti importanti di impronte di invertebrati e piante
- Abbondanza di impronte di rettili rispetto agli anfibi, a testimonianza dei cambiamenti climatici in atto a quell’epoca (riscaldamento).
Il sito paleontologico della Val d’Ambria
Le rocce della Val d’Ambria appartengono al periodo del Permiano in particolare all’epoca del Permiano Inferiore (Cisuraliano), circa 280 milioni di anni fa.
I continenti erano tutti uniti insieme a formare la Pangea, circondati da un grande oceano esterno chiamato Panthalassa e con un mare interno chiamato Teti. È stato stimato che la nostra zona subalpina si trovasse a ben altre latitudini rispetto ad ora, nello specifico si trovava lungo la linea equatoriale.
Il bacino sedimentario orobico, che va dal Lago di Como fino alla Val Camonica, 280 milioni di anni fa era un ambiente decisamente diverso da come lo vediamo oggi:
era un ambiente analogo a quello della Death Valley in California, una zona depressa con rilievi circostanti non troppo alti che scaricavano i sedimenti erosi nella zona di accumulo sottostante (la zona depressa). Qui erano presenti laghi effimeri che periodicamente si seccavano depositando sedimenti fini e formando grandi piane fangose e sabbiose. Ed è proprio su queste piane lasciate dai laghi che sono rimaste impresse le tracce che noi oggi possiamo osservare.
In particolare possiamo trovare:
Suture sedimentarie: ovvero processi o eventi esterni la cui forma ed impronta rimane fossilizzata. Come ad esempio gocce di pioggia, increspature di fondali, fanghi essiccati…
Icnofossili: ovvero reperti fossili di una forma di attività biologica ancestrale di cui non si è conservato l’organismo ma solo la sua traccia. Come ad esempio impronte di spostamento, tane, fatte…
Ma come si sono conservate fino a noi?
- L’organismo o evento lascia la traccia su un substrato sabbioso o fangoso
- Un evento deposizionale ricopre in tempi brevi e veloci il substrato con le tracce
- Con il passare del tempo geologico la diagenesi trasforma i depositi in rocce
- Eventi successivi come orogenesi ed erosione possono portare alla luce queste forme
- Oggi noi possiamo trovare sia il positivo che il negativo delle impronte
E cosa ci possono dire?
Da queste tipologie di fossili possiamo ricavare informazioni importanti che ci permettono di ricostruire l’ambiente passato, il clima, la tipologia di specie presenti allora e di conseguenza quali specie erano più adatte al clima del tempo.
Le ricerche non si concludono qui!
Rimani aggiornato sui nostri canali per seguire tutti gli sviluppi.
Progetto condotto da: Università di Pavia, Museo di scienze naturali di Milano, Museum Fur Naturkunde